La storia di Creta e il monastero di Arkàdi
Il monastero di Arkàdi è legato a due fatti importanti risalenti al periodo del dominio turco e che lo collocano di diritto tra i monasteri più importanti per la storia dell’isola di Creta. Il primo episodio è quasi una curiosità, ma fa capire quanto fosse importante questo monastero tra i tanti dell’isola di Creta; sia per la sua posizione geografica strategica, sia per l’oculatezza e il carisma non solo religioso ma anche sociale e diplomatico (se non addirittura politico) dei monaci a cui ne era affidata la gestione.
Dopo la conquista di Creta da parte dei Turchi nel 1669, il pascià Kyprisli proibì di suonare le campane in tutte le chiese e i monasteri cretesi. Il diacono del Monastero di Arkàdi, Neòphytos Patelàri, raccolse doni per il conquistatore e si recò a Tympàki, dove il pascià era stanziato, pregandolo di consentire l’utilizzo almeno della campana del suo monastero. Il pascià accettò i regali e consentì l’eccezione. Per questo motivo il monastero di Arkàdi era chiamato in passato anche “Tscianli-Manastir”, monastero ‘che ha diritto’ alla campana.
Creta si trovava quindi sotto il dominio turco già da 200 anni quando, dopo continue insurrezioni, i rivoluzionari cretesi cominciarono a raccogliersi ad Arkàdi per organizzare la rivolta. Il 3 marzo del 1866 erano 1.500 i combattenti provenienti da tutta l’isola a rappresentare i vari gruppi rivoluzionari. I turchi, venutolo a sapere, chiesero all’abate Marinàkis di espellere gli insurrezionisti dal monastero, minacciando di distruggerlo, ma l’abate rifiutò.
L’esercito turco, con 15.000 soldati e trenta cannoni, si schierò allora contro il monastero, in cui si trovavano 964 persone: 325 uomini e i restanti donne e bambini.
L’8 novembre i turchi sferrarono l’attacco; dopo un giorno di battaglia la linea esterna di difesa venne battuta, fu ucciso l’abate e i turchi entrarono nel monastero. Pur di non cedere le armi e arrendersi, i sopravvissuti si chiusero nella polveriera e attesero l’ingresso dei soldati nemici per dar fuoco alle polveri e far saltare in aria l’intero edificio, morendo eroicamente e decimando gli avversari.
Nei giorni successivi i turchi finirono comunque per avere la meglio ma nella storia dell’isola questo gesto eroico è rimasto impresso, così come le due prove, ancora visibili, della battaglia. Dopo il disastro del 1866 il monastero è stato completamente restaurato e riportato alla sua forma originale, solo un frammento bruciacchiato dell’iconostasi alla sinistra dell’altare e una palla di cannone incorporata nel tronco del cipresso a destra della chiesa ricordano il sangue versato eroicamente.
Appena fuori delle mura che circondano il monastero di Arkadi, lì dove anticamente sorgeva il mulino del Monastero, accanto alle stalle, si trova oggi un edificio ottagonale: il santuario che ospita le ossa degli eroi del 1866.